L’uomo di acciaio
Mille anni prima della nascita fumettistica di Superman, viveva nell’immaginario collettivo un altro super eroe, anch’egli di acciaio, venuto da lontano, che vantava principi morali e sociali superiori ad ogni altro individuo. Un eroe di ferro: il Cavaliere.
Fautore di questo successo è il cavallo, una delle più importanti invenzioni dell’uomo, impiegato dall’agricoltura, ai viaggi, dal trasporto di informazioni alle guerre.
La prima fonte storica dell’impiego in guerra è la memorabile battaglia di Qadeš, c/a 1200 a.C. (la prima per completezza di dettagli) dove si affrontarono gli schieramenti Egizi di Ramses II e gli Hittiti di Muwatalli II. L’importanza della battaglia, oltre ad essere la decisiva di un lungo conflitto, fu l’impiego massiccio di cavalli e carri di battaglia (tra i 5000 ed i 6000), che costituirono il primo reparto di cavalleria della storia. Gli Hittiti schierarono carri pesanti che trasportavano tre militi: un porta-scudo, un arciere ed un auriga, impiegati per sfondare le linee nemiche. Gli Egizi, al contrario, carri leggeri, detti anche volanti per la velocità raggiunta, solo con un porta-scudo e un arciere. Fu questa la strategia vincente, rapidità di azione nel colpire e fuggire.
Il nerbo degli eserciti ellenici, invece, fu la fanteria schierata in falange, Sparta prima ed i Macedoni poi, ne fecero l’arma di supremazia assoluta come le legioni romane che seguirono, mentre la cavalleria aveva solo compiti logistici.
Nell’esercito romano repubblicano, l’Equites, erede del Hippies greco, combatteva a piedi e l’uso del cavallo era solo un mezzo di locomozione e di elevazione sociale, in quanto bisognava essere ricchi per poter mantenerlo. Sullo scacchiere strategico la cavalleria era solo di supporto. Tuttavia nel II secolo d.C. la prima svolta: è riconosciuto giuridicamente come censo, inserendosi tra i patrizi ed i plebei, assumendo cariche istituzionali quando si lasciavano quelle militari.
Negli ultimi giri di lancette dell’Impero Romano, questa figura, muta sotto l’influenza e le contaminazioni delle culture barbare che orbitavano ai confini del regno. I cavalieri Parti e Sarmati più di una volta infissero scottanti sconfitte, lasciando nelle menti romane un’immagine di potenza e egemonia.
Tuttavia è la pressione delle popolazioni asiatiche, il giro di boa: alcune erano formate da provetti cavalieri che passavano la maggior parte della propria vita materialmente sul cavallo, come gli Unni, gli Alani e, in genere, i popoli della steppa. Questi basavano la propria forza militare su una cavalleria leggera, con arcieri in groppa, organizzata e veloce, che rompesse gli inquadramenti legionari senza mai avvicinarsi al tiro delle lance. Tuttavia passarono in lungo e largo l’Europa senza mai fermarsi, per loro era solo terra di scorrerie. Altre popolazioni impiegarono una cavalleria pesante, come i Franchi, i Sassoni, i Frisoni, i Longobardi, gli Juti che al contrario si stanziarono imponendo, ricreando, o contribuendo a creare, quel nuovo Impero che il Papato avrebbe cercato di rendere unito come comunità cristiana e di subordinare a sé stesso.
Il passaggio da cavalleria leggera a corazzata, in grado di sconquassare le file nemiche, lo si deve agli Avari e all’introduzione della staffa, che consentì al milite di condurre e restare in sella con maggiore sicurezza e stabilità anche se coperti da pesanti usberghi. Una carica di cavalleria, lancia in resta, devastava i reparti, rigidamente inquadrati, gettandoli nel caos. Gli eserciti di fanteria risultarono lenti e impacciati al punto da essere considerati anacronistici quando un centinaio di cavaliere fu in grado di sbaragliare una legione di migliaia di soldati. I cavalieri assumono una rilevanza tale da far volgere le battaglie a loro favore.
Cosa caratterizza un cavaliere del alto medioevo?
Il mito che ancora oggi, a secoli dalla loro scomparsa li accompagna: il titolo, gli ordini cavallereschi, le romanze, il dolce stil novo ma soprattutto il codice. Il cavaliere non era solo un soldato benestante, era un simbolo, un esempio. Dal secolo XI si assistette, anche per effetto della generale ricostituzione della società europea, ad un ingentilimento dei costumi, uomini che si dichiarano protettori dei deboli, delle vedove e degli orfani, devoti ad una domina (da cui il nostro donna). Il codice cavalleresco ruota intorno ad alcuni valori e norme di comportamento, come la virtù, la difesa dei deboli e dei bisognosi, la verità, la lotta contro coloro che venivano giudicati malvagi e gli oppressori, l’onore, il coraggio, la lealtà, la fedeltà, la clemenza ed il rispetto verso le donne.
Cavaliere non ci si improvvisava, addestrato fin dalla fanciullezza e, quindi, armato con un equipaggiamento il cui costo poteva superare quello di 20 buoi, in pratica una piccola proprietà terriera. Si veste di schinieri, di usbergo, guanti d’arme, cubitiere, spallaci, elmo. Brandisce spade corte e a due mani, quinquedea, azze, martelli e mazza frusti.
La figura del cavaliere cavalca nella storia e nei secoli dal medioevo all’ottocento, influenzando i miti (re Artù ed i cavalieri della tavola rotonda, Robin Hood), la letteratura (L’Orlando Furioso, La Chanson de Roland, Ivanhoe etc.), gli stili (il dolce stil novo, la romanza), le leggi ed infine i sogni di tutti, uomini e donne.
Il momento magico dei cavalieri medioevali fu l’avventura delle Crociate, specie la prima, trascorso il quale iniziò la loro crisi che culminerà nella battaglia degli Speroni d’Oro a Courtrai, 1302. In questa battaglia, simbolicamente è ritenuta la fine dei cavalieri medioevali, come funzione militare. Le truppe formate da mercanti ed artigiani delle Fiandre massacrarono i cavalieri francesi facendo mucchi dei loro speroni dorati.
Nonostante il sopraggiungere di nuove armi come le picche e la balestra, che, in un’unione simbiotica dietro il pavese, un grande scudo, costituivano per i cavalieri un muro insuperabile, o l’archibugio e il cannone, il cavaliere sopravvive, si trasforma nuovamente. Abbandona le pesanti armature, riducendo ad un pettorale corazzato la sua difesa, galoppando giunge fino all’ottocento dove la cavalleria di Napoleone lascerà l’ultimo segno di grandiosità. Gli eserciti alleati si piegarono all’avanzata della cavalleria francese suddivisa in leggera, di linea e pesante.
La Cavalleria leggera comprendeva gli Ussari, i Cacciatori a Cavallo e Cavalleggeri (lancieri). I cavalli della cavalleria leggera avevano un’altezza variabile tra i 149 e i 153 cm.
Facevano parte della cavalleria di linea i Dragoni. Era utilizzata per creare brecce tra le linee nemiche e permettere quindi alle unità di fanteria di penetrare all’interno delle linee nemiche. I loro cavalli avevano un’altezza variabile tra i 153 e i 155 cm.
La cavalleria pesante era costituita dai Corazzieri, dai Carabinieri, dai Granatieri e dalla Gendarmeria a Cavallo. In questa unità di élite, i cavalieri erano tutti uomini robusti, come d’altronde le cavalcature che avevano un’altezza variabile tra i 155 cm e i 160 cm. Queste unità erano destinate, oltre ad infrangere la linea difensiva nemica, anche a caricare la cavalleria nemica.
L’immagine romantica, eroica e del tutto inutile dell’ultima carica compiuta da un reparto di cavalleria è del 1939 nella battaglia di Krojanty, preludio della II Guerra Mondiale, quando i cavalieri polacchi assaltarono il 76° reggimento Panzers con lance e sciabole, venendo annientati da carri armati e mitragliatrici, scolpendo nel cuore popolare il mito di un eroico uomo di acciaio che non teme la morte.