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Posted by on Nov 27, 2016 in Approfondimenti | 0 comments

Una storia dimenticata o volutamente occultata (Parte Prima)

Una storia dimenticata o volutamente occultata (Parte Prima)

La storia che oggi racconto, parla di un periodo del XIV secolo, in cui il potere dei nobili opprimeva il popolo romano oltre ogni misura accettabile, e di un gruppo di uomini valorosi e onorevoli che ribaltata lo status quo, costringendo l’arrogante aristocrazia a compiere un passo indietro. Una storia in cui si parla di fratellanza, uguaglianza e libertà con quasi sei secoli di anticipo rispetto alla Rivoluzione Francese. Una storia dunque scomoda, che potrebbe essere stata volutamente dimenticata per non infiammare le corti europee ma che è rimasta nei monumenti e negli annali del comune di Roma.

La situazione storica, in cui prende vita la “Felice Società dei Balestrieri e dei Pavesati” e dei loro comandanti, detti i Banderesi, è articolata e complessa.

Per comprendere a pieno, cosa avvenne alla fine del XIV secolo, bisogna compiere un balzo di quasi mille anni indietro.

La Chiesa Cristiana Romana, dopo la caduta dell’impero, nel 476 d.C., colmò, nell’arco di tre secoli, il vuoto di potere degli imperatori, instaurando una monarchia temporale-spirituale sull’Europa Occidentale. Un’egemonia imposta senza spade e lance, ciò nonostante con abbondante spargimento di sangue. Migliaia di sacerdoti, frati, preti perirono nella divulgazione della parola di Cristo, in terre ostili abitate da feroci pagani.

La Chiesa priva di un esercito aveva nella cultura la sua vera forza. Popoli rozzi e violenti in grado di razziare e distruggere al loro passaggio, erano totalmente incapaci di gestire un territorio una volta stanziatisi. Monaci e sacerdoti diventarono consiglieri dei nuovi re, inspirando o meglio condizionando le scelte dei loro popoli. Conversioni di massa si susseguirono l’una dietro l’altra: Longobardi, Franchi, Alemanni, Britanni, Normanni, trasformando l’Europa in un’enclave della Chiesa. I nobili in vita e in morte lasciavano territori e castelli nelle mani dei Papi per devozione o espiazione di colpe. Vescovi e cardinali da consiglieri si trasformano in amministratori e poi in reggenti di ampie regioni. Papa Gregorio VII (1073-1085) domina buona parte dell’Italia centrale: dalle rive del Po alle porte del regno di Napoli, ma soprattutto condiziona le politiche delle monarchie di tutta Europa.

A lungo andare, le ingerenze dei Papi infastidirono e resero turbolenti i rapporti tra Stati e Chiesa. Nascono dispute sull’elezione di vescovi e re, che si trasformarono in sanguinose battaglie tra guelfi e ghibellini fautori di una o dell’altra parte.

Il potere papale raggiunge il suo apice tra il XI e XII secolo. Ne è un’evidente esempio l’ umiliazione subita dall’imperatore del Sacro Romano Impero, Enrico IV, a Canossa nel 1077, che per far annullare la scomunica ricevuta, attese per tre giorni e tre notti in una bufera di neve dinnanzi le porte del castello in cui risiedeva Gregorio VII.

Tuttavia, in ogni parabola ascendente esiste un ramo discendente. Dopo i fasti delle Crociate, che ebbero un ritorno politico maggiore di quello economico, la vittoria per l’investitura dei sovrani, l’esenzione delle tasse delle proprietà del clero, il potere assoluto dei Papi si avviava a un lento declino, che sbandò pericolosamente agli inizi del 1300. Alle lotte tra clero e monarchia, si aggiunsero le mire indipendentistiche di Comuni e Signorie.

Bonifacio VIII (1294-1303) intende riportare il potere ecclesiastico come era nel X secolo ed inizia un’azione repressiva nei confronti delle corti europee, inimicandosi reggenze come quella di Francia di Filippo IV il Bello, ma anche sul territorio nazionale ha violenti scontri con le famiglie nobili romane dei Colonna e degli Orsini, antagonisti alla sua famiglia di origine dei Caetani. L’episodio dello schiaffo di Anagni, che ha come protagonisti Giacomo Colonna, detto Sciarra, e Bonifacio VIII, mostra tutta la drammaticità del periodo. Il re di Francia minaccia la Chiesa di scisma e di far giudicare Bonifacio VIII come eretico, nello stesso tempo venuto a mancare. Le avvisaglie francesi spingono i cardinali a eleggere un papa d’indole moderata e compiacente alla corte d’oltre alpe.

Bertrand de Got prese il nome di Clemente V (13051314) e convocò la sua corte nella città di Bordeaux, dove era vescovo al momento dell’elezione. Scelta obbligata dato lo stato di insicurezza e abbandono della città di Roma. Infatti, la lunga attesa per l’elezione del papa, il conclave durò più di un anno, aveva lasciato la città nel caos delle guerre intestine dei nobili romani e saccheggiata da compagnie di ventura che scorrazzavano liberamente nelle campagne laziali. La popolazione si decimò sotto i colpi delle spade degli Orsini, Savelli, Colonna, delle carestie e malattie che si abbatterono senza pietà.

Clemente V era lontano e desiderava rimanerci temendo la situazione che si era creata nella capitale cristiana. Nel 1309 acquista il feudo di Avignone e dando inizio ai settanta anni della cattività Avignonese.

La situazione a Roma andò sempre più peggiorando, finché non ci fu un risveglio popolare, di ribellione allo stato attuale.  Il primo atto fu la cacciata dei senatori Sciarra Colonna e Orsini seguito dall’elezione del capitano del popolo Iacopo Alrotti per la transizione ad un nuovo governo. Il papa affida la podestà della città a Roberto D’Angiò, re di Napoli, il cui vicario, tuttavia, la umiliò saccheggiandola e derubandola come preda di guerra.

Nel 1335, Benedetto XII (1334-1342) accoglie le innumerevoli lamentele giunte dal popolo romano. Sottrae la podestà al re di Napoli e crea un collegio di tredici uomini, caporioni della città, che a turno avevano il compito di governare il comune e supportare due rettori scelti tra le fazioni opposte degli  Orsini e Colonna. La speranza del Papa era di placare le guerre intestine, ma convenne nel 1337 di aver fallito. Infatti, seguirono anni sanguinosi, dove si alternarono senatori e statisti di regni confinanti nel miraggio di autorità super partes, finché spinto dal moto popolare e supportato dal papato si innalza un’audace popolano del rione Regola: Cola di Rienzo, che nel maggio 1347 a capo della popolazione si fa eleggere capitano. I nobili fuggono spauriti, liberando Roma della loro appestante presenza, Orsini, Caetani, Conti, Colonna, Savelli si ritirarono nei loro castelli nelle campagne laziali da dove si riorganizzarono per continuare a guerreggiare.

Il Parlamento di Roma conferisce a Cola di Rienzo il titolo di Tribuno difensore dei diritti del popolo e liberatore della Repubblica Romana. Il giovane tribuno, eloquente e vigoroso, confina nelle campagne i riottosi nobili con un veto assoluto di ingresso nella città, organizza una milizia cittadina di milletrecento fanti e trecentoventicinque cavalieri armati dai singoli rioni.

Cola di Rienzo ha il sogno di riportare Roma agli antichi splendori, da cui partire per la conquista dell’Italia intera. Spinto da poeti nazionalisti e da un’innata ambizione, perde il controllo dei suoi atti rendendosi odioso.

Il papato stesso minaccia nel 1350, dopo averlo sostenuto, di non indire il giubileo poiché contrariato dalla politica del Campidoglio. Il tribuno accortosi del voltare del vento e del pericolo di essere travolto dai moti interni, fugge da Roma.

Il vicario pontificio riesce a fatica a far svolgere il giubileo frenando i tumulti, che esplodono l’anno successivo. I senatori da poco eletti, tra le famiglie degli Orsini e Colonna, sono cacciati e il sangue scorre nuovamente tra i nobili romani rientrati in città alla fuga del Tribuno.

Ovunque giungono appelli al papa, Petrarca compreso, affinché si restituisca dignità alla città eterna.

Cola Di Rienzo compare nuovamente avallato dal valente e potente cardinale Albornoz di Perugia, con la missione, richiesta dal papa, di sedare le rivolte e riportare l’ordine in città.

Nonostante il supporto papale, Di Rienzo si scontra nelle resistenze dei Colonna. Nel tentativo di imporsi con la forza, crea malumori e malesseri per via delle tasse imposte per il sostentamento della milizia.

I nobili, desiderosi di vendetta, colgono l’occasione e aizzano il popolo contro il tribuno. Cola Di Rienzo morì abbandonato e tradito nell’ottobre del 1354.

Nella città è il caos: nobili e cavalieri, detti in volgare cavallerotti, spadroneggiano subissando il popolo di angherie.

La necessità di un nuovo ordinamento spinge Innocenzo VI (papa dal 1352-1362), sotto suggerimento di Albornoz, di varare un’ampia riforma della costituzione del comune che avviene nel 1356.

La città sarà governata da un senatore forestiero, non legato ai poteri forti della città. Il comune sarà gestito da sette popolani, con il nome di Riformatori della Repubblica, eletti dai consoli dei mercanti, degli artigiani e dai tredici caporioni. A presidio del governo, una nuova milizia popolare nominata la Felice Società dei Balestrieri e dei Pavesati.

…fine prima parte …

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